A passeggio tra i pianeti



Gaetano Zimbardo, Dipartimento di Fisica, Università della Calabria, Rende




L'osservazione del cielo notturno mostra una miriade di stelle che punteggiano la volta celeste, formando le costellazioni che hanno stimolato la fantasia dell'uomo sin dall'antichità. Alla sensazione di meraviglia si unisce il desiderio di comprendere meglio l'Universo che ci circonda. A questo desiderio l'uomo ha risposto sia mettendo a punto degli strumenti di osservazione, i telescopi, via via più raffinati e potenti, sia, in tempi più recenti, mediante l'esplorazione diretta dello spazio interplanetario. Al lancio dello Sputnik nel 1957 è seguita una serie di satelliti artificiali, dapprima piuttosto semplici e poi sempre più perfezionati, che hanno permesso di scoprire caratteristiche insospettate sia del sistema solare che dei corpi celesti più lontani. Basti pensare alla scoperta delle sorgenti stellari a raggi X, che non sarebbe stata possibile da terra perchè l'atmosfera assorbe i raggi X, scoperta per la quale è stato assegnato il premio Nobel a Riccardo Giacconi nel 2002.

Oltre a permettere di fare osservazioni astronomiche in tutto lo spettro elettromagnetico, i satelliti artificiali hanno rivelato che lo spazio interplanetario non è vuoto, ma è popolato da un gas molto rarefatto, ad alta temperatura e perciò allo stato ionizzato, che prende il nome di plasma. I un gas allo stato di plasma, gli atomi si separano in elettroni, carichi negativamente, e ioni o nuclei, carichi positivamente e per lo più formati da protoni. Tale gas, essendo composto da particelle elettricamente cariche, interagisce fortemente con i campi magnetici solare e dei pianeti, formando delle strutture a grande scala e causando una serie di fenomeni che, come vedremo, influenzano anche la nostra vita di tutti i giorni.

La storia dell'esplorazione spaziale è ormai lunga, e si intreccia con alcuni degli eventi storici più importanti del XX secolo, come la guerra fredda. Qui però si farà una panoramica sullo stato attuale della nostra comprensione dello spazio interplanetario, prescindendo dall'ordine temporale delle scoperte, ma piuttosto cercando di mettere in evidenza l'origine fisica dei vari fenomeni osservati.



La corona solare


La superficie luminosa del Sole, la fotosfera, è circondata da una atmosfera molto estesa, chiamata corona solare perchè durante le eclissi di Sole appare appunto come una corona che circonda il Sole. Nella fotosfera e nella corona solare si verificano fenomeni quali le macchie solari, i brillamenti (aumenti repentini dell’emissione luminosa sia nel visibile che nell’ultravioletto), l'emergere di strutture magnetiche ad arco, le protuberanze, ed altri fenomeni che costituiscono l'attività solare. L'osservazione diretta del Sole mostra che l'attività solare è molto intensa, e che si ha un continuo ribollire della fotosfera. In particolare, le osservazioni del satellite SoHO (Solar and Heliospheric Observatory) dell’Agenzia Spaziale Europea permettono di osservare la fotosfera e la corona solare con grande abbondanza di dettagli (si veda il sito internet sohowww.nascom.nasa.gov) e contemporaneamente in diverse lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico, Figure 1 e 2. Ciò permette di mettere in evidenza la granulazione solare e i campi magnetici solari, ma anche le protuberanze solari, “fontane” di materia incandescente in continua evoluzione, Figura 2. La cosa più sorprendente è che la corona ha una temperatura molto maggiore della fotosfera: se questa ha una temperatura di circa 5700 gradi Kelvin, la corona raggiunge e supera il milione di gradi Kelvin. Poiché l’energia emessa dal Sole è prodotta nel nucleo solare e viaggia verso l’esterno, l’alta temperatura della corona è in apparente contrasto col secondo principio della termodinamica, che prevede che il calore si propaghi dai corpi a temperatura maggiore verso i corpi a temperatura minore. Dunque, come può la fotosfera riscaldare la corona? Si pensa che la corona venga portate a queste temperature elevate dalla dissipazione di energia elettromagnetica (quindi non si riscalda per un semplice trasferimento di calore), dissipazione legata all’intensa attività solare. Ad esempio, in un brillamento solare l’energia del campo magnetico viene convertita in energia cinetica di particelle di plasma che vengono accelerate fino ad energia di 10-100 MeV o anche 1 GeV. Parte di queste particelle sono iniettate nello spazio e possono arrivare fino alla Terra, altre rimangono nella corona e contribuiscono al suo riscaldamento. Altri meccanismi per riscaldare la corona sono stati proposti dagli scienziati, tuttavia quello del riscaldamento coronale è uno dei maggiori problemi della fisica solare, essendo ancora poco chiaro quale sia il meccanismo principale di riscaldamento. Anche ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria sono impegnati su questo fronte.



Figura 1. Il disco solare visto dalla sonda SoHO nella luce visibile dello spettro elettromagnetico. Si possono notare numerose macchie solari.


Figura 2. Collage di quattro immagini del Sole prese dallo spettrografo ultravioletto EIT a bordo della sonda SoHO alla lunghezza d’onda di 304 Angstrom. Nella corona, si notano grandi protuberanze di dimensioni confrontabili al raggio solare.



Il vento solare


Le alte temperature coronali hanno una conseguenza “imprevista”. Il gas caldo e rarefatto ( e quindi poco pesante) riesce a sfuggire all’attrazione gravitazionale del Sole, e forma un flusso di materia, ovvero di plasma, che si allontana dal Sole e si propaga verso l’esterno del sistema solare. E’ come se una parte della corona solare evaporasse, ma l’elevata temperatura fa si che il plasma raggiunga velocità superiori a quella del suono, e che sono dell’ordine di 400-800 chilometri al secondo, ben oltre un milione di chilometri all’ora. Questo flusso di gas altamente supersonico viene chiamato vento solare: è come se il Sole, novello Eolo, soffiasse via la sua atmosfera in tutte le direzioni. Il vento solare è stato osservato direttamente nello spazio da molti satelliti, e tutti hanno confermato che la sua velocità è supersonica. L’esistenza del vento solare può essere verificata anche mediante le osservazioni fatte dalla sonda SoHO, che può ottenere immagini della corona in rapida sequenza. La Figura 3 mostra l’evoluzione temporale di una emissione di massa coronale, o CME (dall’Inglese Coronal Mass Ejection): si tratta di una “bolla” di plasma particolarmente densa che diffonde la luce solare, e che quindi risulta più brillante nelle immagini del coronografo. La sequenza delle immagini mostra che il gas della CME, che costituisce una parte del vento solare, si sposta velocemente verso l’esterno, raggiungendo velocità che spesso superano i 1000 km/s. Se noi potessimo viaggiare a questa velocità, potremmo fare il giro della Terra in 40 secondi!

D’altra parte, il vento solare porta con se molte tracce dell’attività solare, come le CME o le protuberanze. Infatti le stesse strutture coronali sono spinte verso l’esterno e trascinate dal vento solare. Di conseguenza, la densità di massa del vento solare è variabile, e anche variabile è la pressione dinamica che il vento solare esercita sui pianeti. Fra l’altro, nel plasma del vento solare, che è un ottimo conduttore di elettricità, scorrono delle correnti elettriche che danno origine a un campo magnetico nel vento solare. A causa della rotazione del Sole, la struttura a grande scale di questo campo magnetico ha una caratteristica forma a spirale di Archimede, e poiché il vento solare si propaga fino ai pianeti più lontani, si forma una gigantesca spirale con un passo di 5-10 unità astronomiche. Questo campo magnetico ha un ruolo fondamentale nel modulare il flusso di raggi cosmici che raggiunge la Terra.


Figura 3. Immagini della corona prese dal coronografo LASCO a bordo di SoHO. Il cerchio bianco al centro dello schermo circolare del coronografo corrisponde alle dimensioni del Sole. Le due immagini sono prese a distanza di circa 6 ore, e permettono di verificare lo spostamento verso l’esterno di una grande emissione di massa coronale (CME).



Le magnetosfere planetarie


Molti pianeti del sistema solare, come la Terra, hanno un campo magnetico proprio, che si estende nello spazio con la tipica struttura di un dipolo magnetico. Il plasma del vento solare è composto da particelle cariche, le quali sono influenzate dalla forza magnetica. Tale forza obbliga le particelle a compiere delle orbite a forma di elica, con l’asse dell’elica lungo la direzione del campo magnetico. In pratica, le particelle si possono spostare facilmente lungo il campo magnetico, ma poco perpendicolarmente ad esso. Di conseguenza, il campo magnetico di ogni pianeta costituisce uno scudo contro il vento solare, e le particelle di quest’ultimo non possono raggiungere le zone a basse o medie latitudini della superficie terrestre, ma possono raggiungere le zone polari, dove danno origine, nell’interazione con l’atmosfera terrestre, all’aurora. Le aurore, boreali o australi, anche chiamate (quelle boreali) “luci del Nord”, si presentano come una luminosità diffusa del cielo, di colore e intensità variabili, e sono visibili solo alle alte latitudini, a sud e a nord, per via dell’effetto di guida del campo magnetico terrestre. Però, l’interazione tra il vento solare e il campo magnetico terrestre non termina qui; anzi, si forma una struttura articolata e complessa, la magnetosfera terrestre, Figura 4. Infatti, per prima cosa si forma un’onda d’urto nel vento solare supersonico, poi si forma un sistema di correnti elettriche a grande scala, correnti che circondano tutta la magnetosfera terrestre e che ne modificano il campo magnetico fino a fargli assumere la configurazione mostrata nella Figura 4. In particolare nella zona notturna, o antisolare, si forma una “coda magnetica” di forma cilindrica la cui lunghezza supera il milione di chilometri. Beninteso, la magnetosfera è completamente trasparente, perché il plasma che la “riempie” (!) è estremamente rarefatto: questa struttura della magnetosfera è stata dedotta dalle misure in loco dei numerosi satelliti scientifici che hanno esplorato lo spazio che circonda la Terra. Le rilevazioni dei satelliti hanno messo in evidenza vari fenomeni quali la generazione di onde radio di bassa frequenza nella magnetosfera, l’accelerazione di particelle, la relazione tra le aurore e la dinamica della coda magnetica, l’insorgere di turbolenza fluida e magnetica, ecc. Insomma, l’attività magnetosferica è molto varia, e tiene impegnati i ricercatori di numerosi centri di ricerca in tutto il mondo, non esclusi quelli dell’Università della Calabria.

Come per la Terra, anche per gli altri pianeti magnetizzati, e cioè Mercurio, Giove, Saturno, Urano e Nettuno, l’interazione tra il vento solare e il campo magnetico porta alla formazione di magnetosfere, simili a quella terrestre, ma ognuna con caratteristiche sue proprie. Ad esempio, come è stato rivelato dalla sonda interplanetaria Voyager 2, le magnetosfere dei pianeti esterni sono ricche di plasma proveniente dai satelliti degli stessi pianeti, e la magnetosfera di Giove è tanto grande da poter contenere il Sole più di 1000 volte. In effetti, la magnetosfera di Giove è la più grande struttura stabile del sistema solare, ed è sede di fenomeni fisici che avvengono anche nelle magnetosfere delle stelle a neutroni.


Figura 4. Rappresentazione qualitativa della struttura della magnetosfera terrestre. La struttura del campo magnetico è indicata dal colore bordeaux, mentre il verdeacqua rapprenda l’onda d’urto che si forma nell’interazione tra il vento solare e il campo magnetico terrestre.

Le tempeste spaziali


Molte volte qualche esponente del mondo economico, forse in preda a un attacco di efficientismo, mi chiede a cosa servono le ricerche in questo campo. Mi piace rispondere che la conoscenza ha un valore di per sè, tuttavia da qualche anno le ricerche in fisica spaziale hanno anche delle importanti applicazioni alla protezione dei sistemi ad alta tecnologia sviluppati dall’uomo. Infatti l’intensa attività solare e magnetosferica causa delle perturbazioni dell’ambiente terrestre che sono dannose per il volo umano ad alta quota o nello spazio, per le centrali elettriche e per le reti di distribuzione dell’energia elettrica, per le telecomunicazioni sia via cavo che via onde radio, e soprattutto per i satelliti artificiali che ormai svolgono le più svariate funzioni. La correlazione tra macchie solari, aurore boreali e tempeste magnetiche è nota da oltre un secolo, ma solo negli ultimi 15 anni si è capito come questi fenomeni danneggino le strutture costruite dall’uomo. Di fatto, il flusso di energia e particelle accelerate che proviene dal Sole, viaggia nel vento solare e investe la magnetosfera terrestre, dando origine alle perturbazioni illustrate in Figura 5. Ad esempio, le forze elettromotrici indotte, legate alle variazione di campo magnetico delle tempeste magnetiche, causano danni ai trasformatori di tensione delle centrali elettriche, ai cavi e alle tubature degli oleodotti e dei metanodotti; il riscaldamento e l’espansione della ionosfera causano disturbi alla trasmissione di onde radio, interferiscono con i segnali dei sistemi di posizionamento GPS, e causano un aumento dell’attrito atmosferico sui satelliti. Elevati flussi di particelle energetiche possono danneggiare i pannelli solari dei satelliti, causare comandi errati nell’elettronica di bordo, con conseguente perdita del controllo del satellite, e confondere la memoria dei computers di bordo. Sono perfino possibili delle influenze dirette sul clima terrestre, come mostrato dalla correlazione tra gli indicatori climatici e il ciclo solare di 11 anni. In sostanza, le manifestazioni dell’attività solare sono una delle principali minacce alla tecnologia spaziale e alle grandi reti di distribuzione di energia. Gli effetti possono andare da leggeri disturbi fino alla perdita di satelliti o di migliaia di megawatt di potenza elettrica. Di conseguenza, i programmi di ricerca spaziale degli ultimi anni sono orientati alla comprensione e alla previsione di questi fenomeni, allo scopo di limitare i danni. A tali programmi di ricerca viene dato il nome di “space weather”, o tempeste spaziali.


Figura 5. I possibili effetti delle perturbazioni spaziali. Copyright Bell Laboratories, Lucent Technologies.



Si è fatta una panoramica, largamente incompleta, su alcuni degli argomenti attuali di ricerca nel sistema solare e nello spazio interplanetario. Il lettore interessato potrà reperire altre informazioni sui siti internet www.sec.noaa.gov/ e sohowww.nascom.nasa.gov/spaceweather/.




Gaetano Zimbardo